Come suonano le campane

La voce delle campane

La voce delle campane ha regolato la vita dell’umanità per secoli e in questi secoli si è sviluppato un vero e proprio linguaggio in codice, che, in tempi in cui il campanile era l’unico mezzo di comunicazione ”di massa”, serviva a far sapere alla comunità qualunque evento particolare.

Luoghi diversi, suoni diversi

Ogni area d’Italia ha sviluppato un suo codice particolare e quindi un modo speciale di suonare le campane. I campanari erano (e in alcune aree ancora sono) dei personaggi importanti all’interno della comunità: depositari ed interpreti attivi dei linguaggi convenzionali necessari per la comunicazione.

Tutto ciò implica che anche le tecniche usate per suonare i bronzi possono variare da regione a regione, così come l’altezza del perno della campana.

Due modi di suonare le campane

I modi di suonare le campane, comunque, si possono raggruppare in due categorie: suoni in oscillazione e suoni a carillons.

Suoni in oscillazione

Le suonate in oscillazione sono quelle che tutti noi vediamo davanti a noi se chiudiamo gli occhi e immaginiamo una campana che suona: la campana si muove e il battaglio interno ne percuote le pareti. Ma la velocità con cui le campane si muovono determina la potenza ed i risultati musicali di un concerto di campane.

Nel sistema, cosiddetto ”a slancio” o con battaglio volante (caratteristiche del centro-Sud d’ Italia), il battaglio viene lanciato in velocità fino a colpire la campana, nel punto più alto dell’oscillazione, con la giusta forza d’impatto (le campane oscillano normalmente fino ad un massimo di 180°); in questo caso l’oscillazione è molto veloce e produce quindi rapide sequenze di tocchi alternati nei due punti d’impatto del battaglio. Sempre in relazione alla velocità di oscillazione, possono essere configurati concerti che suonano a ”semislancio”. Esistono almeno tre modi diversi di suonare a semislancio, tutti abbastanza complessi:

Il sistema bolognese richiede grandissima prontezza di riflessi e senso del ritmo da parte dei campanari. Nel ”tiro alto”, infatti, le quattro campane vengono portate fino alla posizione a ”bicchiere” (con la bocca verso l’alto) con tocchi sincronizzati che rallentano in funzione della quota raggiunta mentre la ”discesa” è ugualmente sincronizzata fino alla sospensione del suono. Nel caso di concerti con campane molto grandi, i campanari sono aiutati anche dal ”calciatore”, che si apposta a livello dei perni e, appeso con le mani a due funi sopra di lui, dà slancio alla campana colpendo con i piedi la parte alta del ceppo.

Il sistema lucchese è molto simile a quello bolognese, mentre nel sistema umbro il suono festoso si ottiene facendo raggiungere ad una sola campana (la più grande) la posizione a bicchiere, mentre le altre vengono suonate a carillon. Per questo sistema di suono, si usano concerti costituiti da tre, quattro, cinque campane o anche di più.

Nell’area lombarda si usa il cosiddetto sistema ambrosiano con campane ”bilanciate”, in cui le campane vengono inizialmente portate nella posizione a bicchiere senza sincronizzazione e solo quando i bronzi sono nella posizione a bicchiere comincia il concerto, composto da frasi musicali determinate dalla modalità temporale e dalla sequenza delle ”cadute”. Nell’esecuzione alla ”milanese” i concerti a festa vengono ottenuti con intrecci di note creati evitando accuratamente che due campane battano insieme. Nell’esecuzione alla ”bergamasca”, invece, l’abilità dei campanari consiste nel realizzare lo ”schiocco”, cioè proprio nella simultaneità tra la battuta del battaglio di una campana in salita e quella del battaglio della campana che nella sequenza musicale del concerto si trova, invece, nella sua fase di discesa.

La modalità di suono delle campane in tutti i sistemi di suono sopra accennati serve sempre a produrre i richiami e gli annunci per i fedeli almeno nelle situazioni più ricorrenti. Perciò le campane possono suonare in concerto, da vivo da morto e solenne; suonano anche “l’Angelus” a mezzogiorno e l'”Ave Maria”, alla sera; questa è probabilmente una tradizione di origine tedesca (veniva praticata in Moravia già nel 1413), che papa Callisto III generalizzò nel 1456, ordinando anche che il suono dell’Angelus fosse seguito dalla recita di tre Avemarie. Callisto III intendeva così invocare l’intercessione della Vergine in favore della Cristianità, allora impegnata in un durissimo braccio di ferro con gli Ottomani, che erano ormai giunti ad occupare tutta l’Europa.

Suoni a carillons

Un altro modo di suonare le campane è il suono a carillons effettuato con campane grandi.

In questa modalità di suono le campane stanno ferme e vengono percosse dai battagli azionati mediante corde o sistemi di tiranti collegati alle cosiddette ”tastiere” che permettono l’esecuzione di sequenze musicali del tutto simili a quelle che si possono ottenere sulle tastiere di qualsiasi strumento musicale.

Tuttavia, con l’avvento dell’automazione elettromeccanica, il suono a carillon viene ormai ottenuto, in modo soddisfacente, anche per mezzo di moderni dispositivi elettrici detti anche ”elettropercussori” comandati da sistemi elettronici od elettromeccanici. Il suono viene prodotto mediante la percussione della campana ferma, per mezzo degli elettropercussori, posti in modo appropriato sui bordi esterni delle campane; questo è il modo in cui vengono suonati i rintocchi delle ore dei grandi orologi da torre installati su quasi tutti i campanili, ma anche altre suonate mariane, eucaristiche e natalizie che sono i jingles diffusi in tutto il mondo cattolico.

Nella letteratura e nella musica

Suonare i sacri Bronzi è musica?

Di certo è suono! La musicalità attiene alla possibilità di organizzare i suoni ordinatamente con criteri, prefissati.

Dunque, se i sacri bronzi sono costruiti per formare fra loro un insieme strumentale corrispondente ad una ”Scala Musicale”, ad essi sono applicabili le regole della musica applicabili a qualsiasi strumento musicale.
Ma in che modo si giunge a costruire campane con tali caratteristiche così raffinate?

E’ chiaro che anche con le campane, siamo in campo musicale nel pieno ambito artistico, quando appassionati musicisti decidono di scrivere spartiti per campane e codificano modalità di suono sottoposte a severe regole esecutive.
Certo, ai primordi dell’uso delle campane cristiane non c’era affatto la ricerca della musicalità, perciò non ci furono costruttori ed interpreti di campane di orecchio fino e la voce delle campane serviva solo come semplice richiamo e comunicazione per mezzo di segnali elementari rivolti alla comunità. L’uomo del passato, non era comunque sprovveduto né rozzo; solo, non si era posto il problema.

Già nel XV secolo, però, si costruivano carillon formati da molte campane di piccola dimensione, tutte attonate in scala musicale completa di diesis e bemolle, in modo da poter essere suonate esattamente come uno strumento musicale, sia pure, assai particolare, complesso e molto ingombrante. Nascono in quell’epoca, per intuizione dei fonditori Lombardi, Emiliani e Veneti, i concerti di grandi campane attonate, raffinate negli ornamenti, dal suono studiato nel timbro ed arricchito di armoniche per ottenere suono gradevole, potente e persistente; furono i suonatori campanari Emiliani, Lombardi e Veneti a capire che anche le grandi campane, prese a piccoli gruppi (concerti) potevano produrre risultati di notevole qualità musicale e vi fu una grande produzione di codici che partendo dalla numerazione delle campane svolgevano i fraseggi musicali per mezzo di sequenze di numeri ( es: 1.2.3.4.5. è il suono in sequenza dalla 1a alla 5a campana, dove la 1a è la campana più piccola); nel suono Emiliano, una battuta o colpo è la sequenza in progressione ordinata delle cinque campane dove la 1a è la piccola, la 2a è la mezzanella la terza è detta aggiunta, la 4a è detta mezzana e la più grande è detta la grossa.

Un concerto di 4 campane può svolgere 6 variazioni:

1.3.2.4. ( Quarto )
1.2.3.4. ( Organo )
2.1.3.4. ( del Din )
2.3.1.4. ( del Don )
3.1.2.4. ( San Pietro )
3.2.1.4. ( Rovescio )

Questo può essere considerato l’alfabeto del suonatore campanaro Emiliano a doppio o a distesa ed in gergo si chiamano scala o ”alla dritta”.

Per il sistema veronese o veneto, invece, le prime suonate sono tratte certamente dalle sequenze delle ”cadute” musicali del suono cosiddetto Ambrosiano, largamente applicato a Verona e nel Veneto fin dalla fine del settecento.

Da questo basilare alfabeto discendono tutte le elaborazioni più complesse che senz’ombra di dubbio vanno ricondotte, per innegabile pertinenza, nell’ambito dell’arte a pieno titolo, un’arte affascinante che al contempo richiede sensibilità ed orecchio musicale e sempre la prestanza fisica necessaria per ottenere il movimento e la sincronizzazione di campane che molto spesso raggiungono pesi complessivi di varie decine di quintali; dunque, nella tradizione e nel sacro anche un’attività fisica che per lo sforzo e per la concentrazione necessaria ad ottenere le giuste sequenze musicali, non teme il confronto con attività sportive assai più popolari. Spesso, per il suono di concerti formati da molte campane, per la buona riuscita, devono vere e proprie squadre suonatori (talora anche 18 o 20) perfettamente affiatati.

Ci auguriamo che questa tradizione non venga meno e che anzi entri a far parte sempre di più di un abituale da riconquistare in senso culturale, se non in senso sportivo, attraverso le numerose associazioni di campanari che, non solo in Italia, mantengono viva questa arte.
La voce solenne o squillante delle campane ha però affascinato anche numerosi compositori che hanno cercato di riprodurne o evocarne il suono. In questo contesto, la campana più famosa della storia della musica è la più piccola. Si tratta, infatti, de ”La campanella”, il rondò finale del Concerto in Si bemolle (Op. 7) di Niccolò Paganini, che Listz trascrisse per pianoforte. In questa versione, il virtuosistico trillo di questa campanella impazzita divenne famosissimo.

E’ invece meno noto che le campane sono state celebrate in diverse opere liriche, a cominciare da Verdi (Il Trovatore), Mascagni (Cavalleria rusticana) e Puccini (Tosca).

Andreas Romberg, musicò il ”Canto della campana”, un testo di Von Friedrich Schiller che fa parte della numerosa ‘letteratura” dedicata alle campane.

In letteratura, infatti, i ”bronzi” hanno rivestito un ruolo altrettanto importante. Sorvolando sulle citazioni che scrittori greci e latini (Euripide, Aristofane, Fedro, Ovidio, Marziale, ecc.) dedicano ai ”tintinnabula”, il suono dei sacri bronzi ha ispirato moltissimi poeti, a cominciare da Dante. Di campane hanno però scritto anche Leopardi, Manzoni, D’Annunzio, Schiller, Garcia Lorca e Eduardo De Filippo, anche se la più nota è senz’altro la ”campana” di Hemingway (”Per chi suona la campana”, 1940), i cui rintocchi ”a morto” diventano il simbolo della libertà minacciata dall’Europa delle dittature. Il romanzo infatti fu ispirato dall’esperienza di Hemingway come corrispondente dell’Alleanza dei giornali nordamericani, per conto dei quali si trovò in Spagna durante la guerra civile (1936-39).

Anche Carducci, per buona parte della sua vita ”non credente”, fu commosso dal suono dalla voce della campana di una piccola chiesa (San Donato in Polenta, in Romagna) che suonava l’Ave Maria: il canto delle campane sembrava riportare una quiete benedetta sulle difficoltà dell’esistenza, dissolvere in pianto le angosce, restituendo a tutti la voce della preghiera.

La chiesa di Polenta

Giosuè Carducci

[…]

”salve chiesetta del mio canto! A questa
madre vegliarda, o tu, rinnovellata
itala gente da le mole vite,
rendi la voce

de la preghiera: la campana squilli
ammonitrice: il campanil risorto
canti di clivio in clivio a la campagna
Ave Maria.

[…]

Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quiete,
una soave volontà di pianto
l’animo invade.

Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo il tramonto ne l’azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave Maria”.

[…]

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